Povertà educativa e l’istituto dell’affido culturale
16 Ottobre 2022


Piccolo vocabolario bergogliano sulla dignità del lavoro


La pandemia ha inesorabilmente scandito i tempi della crescita economica mondiale, generando molteplici sacche di povertà. Di fatti, l’accelerazione dei ritmi di produzione, la precarizzazione dei contratti di lavoro, la disparità salariale di genere e i medesimi salari bassi hanno paralizzato la tutela della classe lavoratrice che assiste gradualmente ad una involuzione della propria dignità, quest’ultima, invece, essenziale, come detta la nostra Costituzione, per il progresso individuale, delle comunità e del Paese intero. Soprattutto, la poca osservanza delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro ha destato una forte preoccupazione. Si muore mentre si percorre la tratta lavoro- abitazione, nelle fabbriche, sui campi, sulle impalcature, ma i lavoratori e le lavoratrici cominciano già a morire, allorché essi saranno costretti a ridimensionare le spese di investimento sul consumo culturale, sull’educazione della prole, sui beni e sui servizi di prima necessità. Nel saluto alle più importanti cariche istituzionali, prima dell’avvio delle festività natalizie, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, richiamando l’attenzione della politica sulla grave impennata delle morti sul lavoro, come ha registrato il Rapporto 2021 dell’I.N.A.I.L., ha affermato che «gli infortuni sul lavoro continuano, scandalosamente gravi». E poi, Papa Francesco. Il suo grido nella Notte del Natale, affinché le Istituzioni si impegnino alacremente per la salvaguardia delle comunità lavoranti, giunge al culmine di un’omelia, interamente intessuta sul metro della piccolezza. Dunque, come la nobilitazione dei valori umani, per il tramite del divino, raggiunse, in prima istanza, gli ultimi della scala sociale del tempo, gli umili e piccoli pastori, così il messaggio cristiano di liberazione, oggi, viene proclamato agli oppressi del nostro tempo, umiliati e offesi da logiche schiavistiche: lavoratori, migranti e quei poveri che tanto Cristo amò e frequentò nelle sue peregrinazioni in terra di Palestina. La pandemia ha inesorabilmente scandito i tempi della crescita economica mondiale, generando molteplici sacche di povertà. Di fatti, l’accelerazione dei ritmi di produzione, la precarizzazione dei contratti di lavoro, la disparità salariale di genere e i medesimi salari bassi hanno paralizzato la tutela della classe lavoratrice che assiste gradualmente ad una involuzione della propria dignità, quest’ultima, invece, essenziale, come detta la nostra Costituzione, per il progresso individuale, delle comunità e del Paese intero. Soprattutto, la poca osservanza delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro ha destato una forte preoccupazione. Si muore mentre si percorre la tratta lavoro- abitazione, nelle fabbriche, sui campi, sulle impalcature, ma i lavoratori e le lavoratrici cominciano già a morire, allorché essi saranno costretti a ridimensionare le spese di investimento sul consumo culturale, sull’educazione della prole, sui beni e sui servizi di prima necessità. Nel saluto alle più importanti cariche istituzionali, prima dell’avvio delle festività natalizie, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, richiamando l’attenzione della politica sulla grave impennata delle morti sul lavoro, come ha registrato il Rapporto 2021 dell’I.N.A.I.L., ha affermato che «gli infortuni sul lavoro continuano, scandalosamente gravi». E poi, Papa Francesco. Il suo grido nella Notte del Natale, affinché le Istituzioni si impegnino alacremente per la salvaguardia delle comunità lavoranti, giunge al culmine di un’omelia, interamente intessuta sul metro della piccolezza. Dunque, come la nobilitazione dei valori umani, per il tramite del divino, raggiunse, in prima istanza, gli ultimi della scala sociale del tempo, gli umili e piccoli pastori, così il messaggio cristiano di liberazione, oggi, viene proclamato agli oppressi del nostro tempo, umiliati e offesi da logiche schiavistiche: lavoratori, migranti e quei poveri che tanto Cristo amò e frequentò nelle sue peregrinazioni in terra di Palestina.

 


L’appello a forme di occupazione salubri e rispettose della dimensione umana non è una novità nel pensiero bergogliano, il quale, senza dubbio, continua, in una veste sempre più rinnovata e attenta all’evoluzione scientifica e tecnologica della nostra era, il dialogo con la realtà del lavoro, inaugurato, fin dall’originarsi del problema morale dello sfruttamento della classe lavoratrice e delle risorse ambientali, dalle encicliche pontificie di stampo sociale. In tal senso, dalla lettura di alcuni documenti ufficiali, che si focalizzano sul tema della dignità del lavoro, è possibile estrapolare un piccolo vocabolario di parole-chiave, sulle quali Papa Francesco ha costruito un lessico del lavoro solidale. In occasione della celebrazione del Primo Maggio 2020, per esempio, Francesco ha pronunciato un’omelia che, fin da subito, ha inquadrato il concetto di vocazione come premessa imprescindibile perché si realizzi l’affermazione della persona attraverso l’attività lavorativa. Osservando la sua radice, si scopre come il termine, dal verbo latino voco, custodisca un interessante significato antropologico: l’essere chiamati ad un compito, rifuggendo da una invisibilità che condannerebbe altrimenti l’individuo ad una condizione di anonimia sociale. È chiaro, allora, che l’uomo, esprimendo una personale ed irripetibile dimensione poietica, rivela la sua presenza all’interno della comunità che contribuisce a forgiare. Rispondere positivamente ad un progetto di vita, quindi, è il presupposto perché si attui il compimento di una società dedita all’impegno, alla collaborazione e alla responsabilità, dove le ragioni della giustizia, della equità e della sicurezza sorreggano e accompagnino una piena manifestazione della creatività del lavoratore.

E a quel biblico senso di appagamento interiore, simile al riposo di Dio, una volta che creò il cosmo, è necessario che miri una volontà politica veramente attenta al lavoratore. Quando, però, si abbandona la via della legalità e si preferisce perseguire un tornaconto economico egoistico, ecco che emerge la drammatica vulnerabilità della classe lavoratrice. Nel videomessaggio in occasione della 109 ª Conferenza Internazionale del Lavoro, celebratasi nel Giugno del 2021, il Pontefice ha messo in guardia i rappresentanti dei Governi e delle Organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori da quella cultura dello scarto che considera l’uomo soltanto come un mero consumatore di beni, utile fino a quando egli riesce a soddisfare la logica del profitto altrui, come un freddo ingranaggio di una macchina. Proprio da un tale dramma si dipana l’attenzione di Francesco ai casi della gig economy (lavoro a cottimo o a chiamata essenzialmente sottopagato), esplosa nella fase più acuta della pandemia, del lavoro nero e del caporalato, espressioni di una cultura lavorativa che lucra sui fattori della disperazione, della povertà e dell’ingiustizia sociale. Ma non bisogna neppure dimenticare che la condizione di vulnerabilità avoca a sé la tenuta medesima di un Paese, il cui spirito legislativo guarda al rafforzamento dei diritti della persona e, dunque, il superamento delle fragilità lavorative esige che il suo naturale compimento sia fissato dalla salvaguardia dei diritti allo sciopero e all’associazione sindacale, alla salute e alla malattia, alla maternità e alla paternità. La negazione di tali conquiste delle costituzioni democratiche, il più delle volte, si registra in quelle summenzionate occupazioni lavorative informali dove la manodopera è, soprattutto, migrante. Per tale motivo, il Papa ha prospettato agli esponenti governativi e sindacali la necessità di un allargamento del welfare anche ai soggetti sprovvisti di cittadinanza: il diritto alla vita, dunque, impone, una conversione degli schemi di produzione, dell’economia e delle comunità che la vivificano, chiamate, senza a dubbio, a stare dalla parte degli oppressi.

 
 

C’è dignità laddove si coltivano le piante della cura e della responsabilità, come Francesco ha scritto nelle due encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti. Se un lavoro, ben fondato sulla dimensione umana, è riconoscibile per aver sviluppato virtuose relazioni, il concetto di cura, allora, diventa fondamentale affinché la classe lavoratrice senta di essere amata per il contributo essenziale che può offrire in vista di un progresso sociale giusto e uguale per tutta l’umanità. In tal senso, una giustizia sociale reclama fermamente la difesa e la cura del creato, il cui equilibrio è messo a rischio da politiche industriali predatorie. Da qui è necessario che i datori di lavoro, insieme alle organizzazioni sindacali, abbiano il coraggio di farsi profeti di una modernità responsabile, legittima e accessibile alle giovani generazioni, alle quali è demandato, fin da ora, il compito di custodire i valori della pace, dell’armonia e della condivisione. In questa cornice sussidiaria, le imprese hanno la responsabilità di studiare le forme di distribuzione più adatte a generare ricchezza per tutti. Ai dirigenti politici si chiede, inoltre, una carità che strutturi la società in modo che essa non si ritrovi mai in condizioni di miseria e il farsi carico delle sofferenze altrui è, per questo motivo, la virtù indispensabile delle comunità politiche che non accettano compromessi quando le strutture schiavistiche del nostro tempo avversano un benessere integrale. Vocazione, vulnerabilità, cura e responsabilità, in conclusione, evocano una pragmatica del lavoro che, nella mente di Papa Francesco, si sostanzia della gestualità del Buon Samaritano che soccorre il Giudeo derubato dai briganti. Laddove sembra che tutto sia perduto, laddove l’umanità appare soffocata in una condizione di degradante disumanità, ci sarà sempre spazio per un’etica che si batte per la verità e per la giustizia.

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