di Andrea Salvatore Alcamisi
Se vogliamo capire la complessità del mondo contemporaneo, uno sguardo attento alle dinamiche politiche del Mar Mediterraneo offre un metodo ragionevole per comprendere le trasformazioni sociali in atto lungo la sua riviera.
L’ideologia dominante le politiche migratorie mediterranee propone una sostanziale chiusura mentale alle molteplici cause, spesso tra loro connesse, che innescano il fenomeno migratorio. Si piantano fili spinati, si emanano leggi disumane, si proteggono i confini, si invocano incerti principi morali di purezza e di sovranità. Come è possibile constatare, la regia di tali politiche è piuttosto difensiva laddove necessita, invece, di aperture, di ripensamenti e, soprattutto, di molti attori. E, per mutare la prospettiva escludente, bisogna sotterrare definitivamente la percezione che un confine fisico e, nello stesso tempo, culturale possa infondere una sensazione di sicurezza e di stabilità in coloro che risiedono entro gli spazi de-limitati. Un concetto molto labile nell’era digitale, poiché ogni sorta di confine è stato frantumato dal rapido e libero flusso di informazioni, trasmesse dall’invisibile reticolato di connessioni informatiche, che di fatto scavalca le barriere geografiche e gli ostacoli relazionali. Un’utopia possibile e già sperimentata dalla società moderna come da quella antica, quando il Mar Mediterraneo, appunto, costituiva un libero spazio di scambi e di scontri, di incontri e di conflitti. Allora, la metafora del mare, libero di fluire e di orizzonti netti, restituisce l’immagine di un campo neutro, come può essere oggi il medium digitale, in grado di intrecciare diverse esperienze umane, colorando, però, quella neutralità di partenza in una tavolozza di emozioni. L’empatia del mare serve senz’altro ad un pensiero politico, se esso pensa e vede l’altro, il naufrago, il rifugiato, il clandestino, il migrante, un portato di sapienza, una linfa da innestare nel meraviglioso giardino terrestre, piuttosto che un carico da sfruttare.
I muri, prima o poi, rovinano e crollano inesorabilmente. Troppo forte è la pressione della curiosità, l’anelito alla libertà, il desiderio di imbastardire lo sguardo dei reclusi. E nessun governante può pensare di legare a sé un popolo attorno alla costruzione di un’immagine identitaria paralizzante. Anche i governanti, prima o poi, cadono e con un tonfo più violento dei muri che essi stessi hanno provveduto ad innalzare. Se, dunque, il Mar Mediterraneo avesse cucito sopra di sé una egemonia culturale univoca ed impermeabile, oggi esso avrebbe poco meno il valore di una palude ristagnante, nociva per gli organismi viventi. Le narrazioni umane raccontano, invece, una storia diversa del Mediterraneo. Dacché Nausicaa ha raccolto Odisseo in stracci e naufrago, la storia dell’uomo non è stata più la stessa: hanno fatto irruzione la compassione, la cura, l’ascolto. E quando non sono prevalsi i fondamentalismi, le tre grandi culture cristiana, ebraica ed islamica hanno realizzato ciò che il filosofo Leibniz auspicava, che l’uno conserva e salva il molteplice. Il Mare Nostrum, come i Romani chiamavano il Mediterraneo, ha avvicinato i popoli, li ha spinti a sentirsi vincolati da forti rapporti di reciprocità, sebbene fossero riscontrabili le divergenze culturali; però, chiara ne fu sempre la matrice comune di appartenenza e da qui quel nostrum, poiché il mare, da sempre, fu percepito come un bene comune ed un terreno indispensabile per costruire insieme un repertorio di valori traducibili in gesti, riti e parole comprensibili ai naviganti in cerca di approdi. Sono caduti così i confini mentali ed è sorta una cultura mediterranea: l’arte culinaria si offre alla contaminazione dei sapori; la convivialità della mensa diventa una bella occasione per scambiare i punti di vista; l’ospitalità promuove il dialogo, il soccorso ricorda che nessuno può esimersi dall'impegno. La nozione di cultura potrebbe richiamare lo spazio di una stanza sigillata nel tempo. La sua etimologia, invece, ricorda come essa, in realtà, sia una pianta che vuole perennemente restare giovane e, per raggiungere un tale obiettivo, la custodia non basta: sono utili un buon concime, i sostegni e, naturalmente, una tecnica manuale paziente. Come si può constatare il concetto di cultura non collima con quello di identità, se a quest’ultimo si dà l’accezione di essere una entità monolitica, immutabile e scevra di fratture e di ripensamenti. Ciò è un esercizio necessario se i popoli mediterranei aspirano all’uno nella molteplicità. Piuttosto che i muri, servono, allora, i terrazzamenti come piccole basi di appoggio dove sia possibile costruire, attorno alla cultura riconosciuta mediterranea, la convivenza pacifica e l’apertura alla diversità. E, in questo contesto, l’olivo rappresenta la sintesi perfetta di questa possibilità, un arbusto sempreverde che cresce spontaneamente lungo le sponde del Mediterraneo. L’olivo, simbolo della coesistenza in habitat antropici differenti, infatti, sacralizza, cioè rende inviolabile, il compito degli operatori impegnati nel lavoro di ricucitura tra chi pensa che il Mar Mediterraneo sia una frontiera e un affare da doganieri e tra chi, invece, lo ritiene un ponte mobile, nascosto tra le sue stesse acque.
Oggi il Mar Mediterraneo ha perduto quella centralità antica contaminante i popoli rivieraschi che lo hanno a lungo solcato. Resta il silenzio di chi affoga nel tentativo di attraversarlo. Nel frattempo, risorgono lungo le sue sponde i conflitti sopiti e ne appaiono di nuovi, con la complicità dei governanti, infastiditi dalla presenza di uno spazio utile soltanto per esigere un ricavo, anziché pensarlo, invece, come un punto di partenza per avviare i processi generativi di speranza e di pace. I contatti tra le sponde del bacino mediterraneo, invece, hanno dimostrato come un pensiero complesso possa spingere, senza scadere nell’omologazione e nell’intolleranza, al riconoscimento di un’idea del Mediterraneo come latore di conoscenza, di bellezza e di fraternità. Sfuggire alle letture storiche, agli approfondimenti delle strutture fondanti le diverse opinioni, come le credenze religiose o le organizzazioni giuridiche, all'intreccio di valori comuni di riferimento renderà sempre più difficile realizzare un’inversione di rotta dalla tendenza di rinchiudersi nella comodità dei pregiudizi e dell’ignoranza.
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